Ebook: Atque. Materiali tra filosofia e psicoterapia. 2/1990. Legami della conoscenza
Author: Paolo Francesco Pieri (editor)
- Year: 1990
- Publisher: Moretti & Vitali
- Language: Italian
- pdf
Nel nostro senso comune, le parole e il mondo vengono in evidenza come sfere distinte e non dipendenti tra loro e dal processo gnoseologico che le ha costruite.
Qui si vuol dire che è stato l’istituirsi di una situazione di ordinarietà a permettere di ripetere e inverare quelle parole e quel mondo. Proprio nell’accadere della ripetizione accademico-professionale, si replica una percezione normale della realtà insieme alla costruzione sia di un mondo con cui avere a che fare o a cui dover solo rispondere, sia di un soggetto con un ‘nulla’ di presenza.
D’altronde, ogni invito a uscire da questa situazione non coglie nel segno finché non sia avvenuto l’urto gnoseologico col gesto della ripetizione stessa che è, poi, ciò a cui sono legati quella conoscenza, quella soggettività e quella oggettività. Perché è in tale condizione di domesticità che teorie e fatti hanno acquisito un sentimento di certezza e attraverso questa teorematizzazione essi sono. Così come è proprio l’instaurarsi dell’ordinarietà della situazione, cioè il venirsi a costituire di questo sentimento di pacificazione, che rende le parole e le cose preventivamente disegnate sino a farle presenti, necessitanti, a priori.
All’interno di questo, S. Moravia e P.F. Pieri mostrano come la conoscenza non sia fondata esternamente agli effetti del suo essere nella comunicazione.
Da ciò emerge la critica condizione di ogni categoria conoscitiva che voglia porsi fuori da tali margini e da lì garantire la verità di un oggetto altrettanto esterno ma, chissà perché, già pronto per essere rispecchiato, M. I. Marozza – attraverso C. G. Jung – critica il massimo dell’ovvio quotidiano: il mondo delle immagini come realtà terza (mediana della realtà interna e della realtà esterna). L’immagine non va vista come alimento ulteriore
dell’evidenza dell’intenzione designativa dell’anima (il soggetto), o del senso di realtà del designato (l’oggetto). L’immagine va incontrata nel suo essere essenzialmente intrecciata alla conoscenza come trama simbolica e non come ornamento metaforico dei soggetti e degli oggetti (non sussistenti di per sé, perché essi sono messi in essere nel processo vivo della conoscenza).
A.M. Iacono e E.V. Trapanese, per altro verso, criticano il fatto che, perché le cose abbiano senso, esse devono avere senso già da sempre. Ciò che ci sfugge è che il loro esserci è frutto di un legame instaurato nella conoscenza. Tale condizione di prodotto della prospettiva gnoseologica in cui siamo immersi è occultata proprio dal sentimento di ovvietà.
Nell’articolo di S. Vitale, l’esperienza dell’analisi – attraverso la ricostruzione dei legami che uniscono Freud alla tradizione ebraica e, per altro verso, alla cultura classica – è vista non già come il progressivo svelamento di una realtà storica sepolta, ma piuttosto come la creazione di un mondo possibile la cui esistenza è affidata specificatamente all’affermarsi di un sentimento estetico.
Accanto a questo e a partire dall’ardua concezione di psiche, A. Ruberto prova ad aver ragione di quella difficile frase di C.G. Jung del 1937, secondo cui: «dalla psiche procede ogni esperienza umana e a lei ritornano tutte le conoscenze acquisite. La psiche è inizio e fine di ogni conoscenza. Anzi, essa è non soltanto l’oggetto della sua scienza, ma ne è anche il soggetto. Questa situazione eccezionale tra tutte le scienze implica da un lato un dubbio costante sulla sua possibilità in generale, dall’altro assicura un privilegio ed una problematica che appartiene ai compiti più difficili di una filosofia futura».
Infine – attraverso G. Concato che si sofferma su quel bivio platonico che indica gli amanti delle cose e gli amanti del sogno delle cose – si arriva agli articoli di L. Preta e P. Fidanza che mostrano come – nel ridisegnarsi delle relazioni tra ‘reale’ e ‘immaginario’, quali eventi di senso nell’odissea della conoscenza, – ‘Penelope’ e ‘Ulisse’ possono essere intrecciati, anche se, nell’esperienza ordinaria, appaiono separatamente.
Qui si vuol dire che è stato l’istituirsi di una situazione di ordinarietà a permettere di ripetere e inverare quelle parole e quel mondo. Proprio nell’accadere della ripetizione accademico-professionale, si replica una percezione normale della realtà insieme alla costruzione sia di un mondo con cui avere a che fare o a cui dover solo rispondere, sia di un soggetto con un ‘nulla’ di presenza.
D’altronde, ogni invito a uscire da questa situazione non coglie nel segno finché non sia avvenuto l’urto gnoseologico col gesto della ripetizione stessa che è, poi, ciò a cui sono legati quella conoscenza, quella soggettività e quella oggettività. Perché è in tale condizione di domesticità che teorie e fatti hanno acquisito un sentimento di certezza e attraverso questa teorematizzazione essi sono. Così come è proprio l’instaurarsi dell’ordinarietà della situazione, cioè il venirsi a costituire di questo sentimento di pacificazione, che rende le parole e le cose preventivamente disegnate sino a farle presenti, necessitanti, a priori.
All’interno di questo, S. Moravia e P.F. Pieri mostrano come la conoscenza non sia fondata esternamente agli effetti del suo essere nella comunicazione.
Da ciò emerge la critica condizione di ogni categoria conoscitiva che voglia porsi fuori da tali margini e da lì garantire la verità di un oggetto altrettanto esterno ma, chissà perché, già pronto per essere rispecchiato, M. I. Marozza – attraverso C. G. Jung – critica il massimo dell’ovvio quotidiano: il mondo delle immagini come realtà terza (mediana della realtà interna e della realtà esterna). L’immagine non va vista come alimento ulteriore
dell’evidenza dell’intenzione designativa dell’anima (il soggetto), o del senso di realtà del designato (l’oggetto). L’immagine va incontrata nel suo essere essenzialmente intrecciata alla conoscenza come trama simbolica e non come ornamento metaforico dei soggetti e degli oggetti (non sussistenti di per sé, perché essi sono messi in essere nel processo vivo della conoscenza).
A.M. Iacono e E.V. Trapanese, per altro verso, criticano il fatto che, perché le cose abbiano senso, esse devono avere senso già da sempre. Ciò che ci sfugge è che il loro esserci è frutto di un legame instaurato nella conoscenza. Tale condizione di prodotto della prospettiva gnoseologica in cui siamo immersi è occultata proprio dal sentimento di ovvietà.
Nell’articolo di S. Vitale, l’esperienza dell’analisi – attraverso la ricostruzione dei legami che uniscono Freud alla tradizione ebraica e, per altro verso, alla cultura classica – è vista non già come il progressivo svelamento di una realtà storica sepolta, ma piuttosto come la creazione di un mondo possibile la cui esistenza è affidata specificatamente all’affermarsi di un sentimento estetico.
Accanto a questo e a partire dall’ardua concezione di psiche, A. Ruberto prova ad aver ragione di quella difficile frase di C.G. Jung del 1937, secondo cui: «dalla psiche procede ogni esperienza umana e a lei ritornano tutte le conoscenze acquisite. La psiche è inizio e fine di ogni conoscenza. Anzi, essa è non soltanto l’oggetto della sua scienza, ma ne è anche il soggetto. Questa situazione eccezionale tra tutte le scienze implica da un lato un dubbio costante sulla sua possibilità in generale, dall’altro assicura un privilegio ed una problematica che appartiene ai compiti più difficili di una filosofia futura».
Infine – attraverso G. Concato che si sofferma su quel bivio platonico che indica gli amanti delle cose e gli amanti del sogno delle cose – si arriva agli articoli di L. Preta e P. Fidanza che mostrano come – nel ridisegnarsi delle relazioni tra ‘reale’ e ‘immaginario’, quali eventi di senso nell’odissea della conoscenza, – ‘Penelope’ e ‘Ulisse’ possono essere intrecciati, anche se, nell’esperienza ordinaria, appaiono separatamente.
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