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Ebook: Di-segno. La giustizia nel discorso

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13.02.2024
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Domande del tipo «a che cosa rimanda il segno?», «che cosa è il segno?» appaiono, nel linguaggio teorico odierno, post-heideggeriano e post-nicciano, come domande nichiliste, cioè come domande che in qualche modo già si sanno senza risposta.
Il segno sembra impensabile senza l'esser di-segno: una trama di rimandi, una tessitura, una testualità. È forse opportuno che il problema del rapporto fra il segno e il senso lasci il posto a una questione più radicale che inerisce come tale alla natura del discorso. Ne va non tanto di un fondamento quanto della testualità del discorso, spesso conclamata ma anche denegata nei suoi esiti ermeneutici. Il soggetto dell'ermeneutica, il soggetto cioè che conferisce il senso, è spesso analizzato nelle sue impasses e nelle sue contraddizioni, ma forse mai messo in questione come figura del discorso costituitasi nell'età moderna.
I contributi di questo volume raccolgono tentativi di pensiero, tra quelli che oggi si concedono maggiori rischi, che riguardano la pensabilità di un senso che non sia conferito, nel movimento della sua costituzione, da un soggetto funzionante come attore del discorso. La questione di un senso (quindi anche classicamente di una verità?) all'opera nel discorso è riproposta, al di là di certe chiusure della metafisica, come strategia che ricalibra il ruolo e l'idea stessa di soggetto. Quest'ultimo, più che essere in grado di conferire il significato al discorso, ne sarebbe piuttosto esercitato e suo destinatario.
Alla domanda se il nostro parlare sia vero si può sostituire come equivalente l'interrogativo se il nostro parlare sia morale?
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