Online Library TheLib.net » Io, il tebano
Fino agli anni Settanta, a Milano la malavita si chiamava la ligèra. Aveva un suo quartiere, il Ticinese, e soprattutto un suo codice d'onore. L'uso della violenza era l'ultima sponda, e il Mario, come diceva la canzone, "andava in bicicletta" e non dava la morte, ma la riceveva. Poi arrivarono quelli come il Tebano, con le case da gioco, la droga e le macchine lunghe come piroscafi. Il codice divenne di disonore e la vita umana cominciò a valere meno di un pizzico di cocaina. Venuto su dalla Sicilia, Angelo Epaminonda, che ha provato la miseria e l'umiliazione, decide di "rifarsi" nel modo più spiccio: entrando nel "giro". Per dieci anni, durante i quali balzano nella cronaca nera nomi come Turatello e Vallanzasca, la nuova criminalità detta legge e scatena vere e proprie guerre per bande per il possesso del territorio e per la gestione dei guadagni facili. Da "picciotto" irrequieto, Epaminonda diventa uno dei capi indiscussi della malavita milanese: frequenta il "bel mondo", e offre "sniffate" e morte. Poi, l'arresto, e con l'arresto la decisione di vuotare il sacco, di raccontare fatti e misfatti, facendo arrestare decine di persone. Oggi, Epaminonda il Tebano vive "protetto" dalla polizia, ma non si sente tranquillo: il ricordo e l'odore della morte continuano a ossessionarlo. Il racconto che due giornalisti famosi hanno raccolto dalle sue labbra, diretto e sconvolgente anche per le rivelazioni che porta in sé, può forse essere letto come una sorta di catartica autoanalisi.
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