Ebook: L’imperialismo del dollaro nell’Europa occidentale
Author: Lev Abramovich Leontiev
- Year: 1951
- Publisher: Edizioni di Cultura Sociale
- Language: Italian
- pdf
La presente opera del noto economista sovietico A. LEONTIEV (autore del "Manuale di Economia Politica" largamente diffuso in Italia), uscita a Mosca nell’ Ottobre del 1949, merita giustamente l'eccezionale valore attribuitogli, e ciò per l’approfondito studio in essa contenuto circa le finalità dell’attuale politica degli S.U. d'America e del loro inconfondibile impulso espansionistico.
L'interesse dell’opera è costituito dal suo valore documentario in quanto non parte da illusioni ideologiche, ma da fatti concreti, dai documenti.
Ogni cittadino, ogni lavoratore, che voglia capire le cause profonde degli attuali rapporti internazionali esasperati e dei pericoli che questi rappresentano per la pace, la libertà e l’indipendenza dei popoli, deve leggere questo libro.
Alcuni estratti:
==================================
L'indirizzo di politica estera seguito dai circoli dirigenti degli Stati Uniti d’America dopo la fine della seconda guerra mondiale è un indirizzo d’incontenibile espansione imperialistica. Esso si presenta come un piano avventuristico di forzata instaurazione del predominio mondiale anglo-americano sotto la protezione degli Stati Uniti d’America. Tale indirizzo trova la propria incarnazione nella cosidetta « dottrina di Truman » e nel « piano Marshall », nel patto dell’Atlantico Settentrionale e nell'imbastitura d'ogni specie di blocchi militari aggressivi, nella corsa agli armamenti, nella creazione di basi strategiche, nella accumulazione di bombe atomiche. La politica dei circoli dirigenti degli Stati Uniti d’America e dell'Inghilterra è il fatto fondamentale dell'avvelenamento della attuale atmosfera mondiale, poiché è una politica di aggressione e di provocazione di una nuova guerra mondiale.
A milioni di «uomini semplici» di entrambe le rive dell’Atlantico viene in cento modi ispirato il pensiero che nel tempo in cui tutti gli altri grandi Stati crescevano col ferro e col fuoco, gli Stati Uniti d’America sarebbero arrivati allo stato attuale esclusivamente per via pacifica; come se gli Stati Uniti d’America non avessero mai fatto alcuna conquista. Se essi qualche volta si sono intromessi nelle questioni degli altri popoli, affermano i lacchè dell'imperialismo americano, l’avrebbero fatto in maniera disinteressata, esclusivamente nell’interesse dei popoli, in nome dell’umanità in difesa della civiltà, nell’interesse della pace. Parrebbe che un tale idillio avesse accompagnato la politica estera americana dal suo sorgere fino ai giorni nostri. Questa leggenda viene diffusa dai difensori dell'espansionismo americano. Essa viene sostenuta nei paesi capitalistici da tutto l’apparato ufficiale della propaganda, dai monopoli della stampa reazionaria, dalla scuola, dai manuali di storia americana e così via.
Nel 1870 venne fondato il trust petrolifero di Rockefeller «Standard Oil». Da questa data ha inizio la storia dei monopoli americani. Ricchezze gigantesche vennero concentrate in poche mani. Lo sviluppo dei monopoli e l’incessante accrescimento della loro influenza sul corso della nave statale, ha mutato sostanzialmente il carattere stesso della espansione americana. La forza motrice dell’espansione è data dagli interessi del profitto dei potenti monopoli industriali, bancari e commerciali. Gli interessi del profitto monopolistico non conoscono frontiere, essi si espandono per tutto il mondo.
Nell’epoca del dominio dei monopoli la politica estera degli Stati Uniti è guidata interamente ed esclusivamente dagli interessi del capitale finanziario, dagli interessi di quel pugno di sfacciati miliardari che affogano nel fango e nel lusso dei quali scriveva Lenin. Il gruppo di miliardari che guida i destini della repubblica transoceanica diventa padrone assoluto dell’apparato statale e guida tutta la politica interna ed estera del governo.
Con la proclamazione «della dottrina di Truman» e dopo, con la sua naturale continuazione « il piano Marshall », il dominio dei grandi affaristi nel governo americano ha assunto un carattere aperto e illimitato. Acheson dichiarò che i prestiti alla Grecia e alla Turchia dovevano sostanzialmente essere considerati dei doni che non sarebbero più stati restituiti. In seguito lo stesso principio dei « doni » venne adottato su scala molto più larga nel « piano Marshall ». In realtà si tratta di doni fatti a spese dei contribuenti ai monopoli, per i quali la « dottrina di Truman » e il « piano Marshall » sono chiamati a spianare il campo per lo sfruttamento.
La « dottrina di Truman » è legata alla politica di appoggio ai regimi e alle forze reazionarie in tutto il mondo. L’attuale politica americana, che trova la propria incarnazione nella « dottrina di Truman » e nel « piano Marshall », punta sulla rinascita dell’imperialismo tedesco. La « dottrina di Truman », similmente alla teoria fascista tedesca dello « spazio vitale », esprime le tendenze aggressive del capitale monopolistico.
La pazzesca idea della superiorità razziale della razza anglosassone, da un lato, e la propaganda del cosmopolitismo, dall’altro, rappresentano lo strumento ideologico velenoso dell’imperialismo americano. Il razzismo anglo-sassone ed il cosmopolitismo sono due facce della medesima medaglia, due forme di manifestazione dell'ideologia imperialistica, al servizio dei piani anglo-americani di dominio mondiale.
L’imperialismo del dollaro ha una ricca esperienza nell’attizzare il fanatismo razziale. Le classi dominanti degli Stati Uniti si sono arricchite con lo sfruttamento inumano dei negri, i quali, per parecchi secoli, furono portati dall’Africa dai mercanti inglesi e sfruttati dai piantatori del Sud come schiavi. La ideuccia della superiorità razziale della razza «bianca» e prima di tutti degli anglo-sassoni, ha avuto una ben determinata funzione utilitaria. Essa doveva dare una qualche apparenza di giustificazione del regime sociale sanguinario ed inumano basato sulla schiavitù della laboriosa popolazione negra.
Se il razzismo anglo-sassone serve prevalentemente per l’interno, il cosmopolitismo, al contrario, serve sopratutto per l’esportazione. Esso viene esportato in Europa e si introduce fra i popoli come la gomma da masticare e i salsicciotti di maiale in scatola assegnati con il « piano Marshall ».
L’attuale cosmopolitismo ha il compito di nascondere gli appetiti briganteschi dell’imperialismo anglo-americano con ragionamenti ingannevoli secondo i quali l’idea della sovranità nazionale sarebbe «antiquata» e che bisogna metterla nell’archivio, poiché sarebbe nell’interesse di tutti i popoli del mondo riconoscere quanto prima volontariamente la supremazia anglo-americana, dato che lo sviluppo storico sta dalla parte della creazione degli «Stati Uniti del mondo» e del «governo mondiale».
Il cosmopolitismo ha per base i legami mondiali del capitale che mantiene i popoli in schiavitù e nell'oppressione. L’attuale cosmopolitismo esprime la tendenza propria dell’imperialismo all’egemonia mondiale, alla lotta violenta degli imperialisti per il dominio mondiale. Il cosmopolitismo ed il nazionalismo borghese si manifestano come due facce di un medesimo idolo. Questo idolo è il vitello d’oro, la cui religione ignora non soltanto le frontiere nazionali, ma anche gli interessi nazionali. Questa religione è legata con la corrotta morale dei briganti, incarnata nei comandamenti borghesi: «il denaro non ha odore»; «dove si sta bene è la patria».
Il legame indissolubile fra lo sciovinismo ed il cosmopolitismo si mostra con particolare evidenza nella azione dei socialisti di destra, i quali strisciano sul ventre davanti all’imperialismo americano e nel medesimo tempo conducono e difendono la politica della più selvaggia oppressione degli altri paesi e degli altri popoli.
Uno dei calcoli perfidi degli imperialisti americani con la proclamazione del « piano Marshall » consisteva nel tentativo di staccare i paesi di democrazia popolare dall’Unione Sovietica. Questo era un calcolo volgare, degno della brigantesca democrazia del dollaro: tentare con l’esca dei dollari di fare ritornare nel campo dell’imperialismo i paesi dell’Europa Centrale e Sud Orientale, che avevano rotto con questo campo e si erano messi sulla via della costruzione del socialismo. Si può considerare che questo calcolo fallì fin dall’inizio. Il tradimento della cricca di Tito in Jugoslavia rallegrò gli imperialisti, ma lo sviluppo economico ed il consolidamento dei regimi di democrazia popolare in Polonia, Cecoslovacchia, Bulgaria, Romenia, Albania rappresenta un duro colpo per il campo dell’imperialismo. Questo è stato il primo, ma certamente non l’ultimo, fallimento del « piano Marshall ».
Come il « piano Marshall », il Patto Atlantico è stato fin dall’inizio concepito come strumento diretto innanzi tutto contro l’Unione Sovietica ed i paesi di democrazia poolare. L’Unione Sovietica che guida il campo della democrazia e del socialismo, rappresenta l’ostacolo insuperabile per la realizzazione dei piani imperialistici d’instaurazione del dominio mondiale. Di qui deriva il furioso rancore degli imperialisti contro l’Unione Sovietica. Il rifiuto del febbraio 1949 del presidente Truman di sottoscrivere un trattato di pace con l’Unione Sovietica ha dimostrato ancora una volta a tutto il mondo che i circoli dirigenti di Washington ed i loro sostenitori dell’Europa Occidentale scartano sistematicamente ogni politica diretta a regolare i rapporti con l’Unione Sovietica, poiché essi non desiderano la pacifica collaborazione con essa. Il 4 aprile 1949 ebbe luogo a Washington la cerimonia ufficiale della firma del Patto Atlantico da parte dei ministri degli esteri dei paesi dell’Europa Occidentale, appositamente convocati.
Malgrado i calcoli dei monopolisti americani e dei loro servi nè il « piano Marshall » di aggressione, nè la sfrenata corsa agli armamenti potevano salvare, ed effettivamente non hanno salvato, i paesi capitalistici, e prima di tutti gli Stati Uniti, dallo sviluppo della crisi economica.
L’indice più evidente della debolezza interna del campo imperialistico è rappresentato dal completo fallimento del « piano Marshall », che era stato propagandato dai monopolisti americani e dai loro servi in tutto il mondo con l’insegna menzognera di « piano per il risanamento dell’Europa ». E’ fallito completamente il calcolo politico degli imperialisti secondo il quale il «piano Marshall» avrebbe dovuto « arrestare lo sviluppo del comunismo », e cioè portare ad un indebolimento della lotta di classe nei paesi marshallizzati. Infine, la vita ha rovesciato i calcoli economici degl’imperialisti anglo-americani secondo i quali il « piano Marshall » avrebbe dovuto procurare loro una sufficiente quantità di mercati per lo sbocco delle merci, di sfere per l’investimento di capitali e di campi per lo sfruttamento capitalistico, necessari per assicurare i grassi superprofitti dei monopoli.
Il « piano Marshall» era stato fin dall’inizio concepito come uno strumento per realizzare i disegni pazzeschi di dominio mondiale del capitale finanziario americano, tracciando una politica che avrebbe dovuto innanzi tutto assicurare la risoluzione delle contraddizioni interne del capitalismo americano a spese dei paesi marshallizzati. Gli autori del « piano Marshall » si rivolgevano al pubblico americano e assicuravano in maniera particolare che essi erano convinti che il piano avrebbe assicurato agli Stati Uniti mercati per le merci e sfere di influenza per l’investimento-dei capitali. Fra gli scienziati, servi di Wall-Street, era diventata particolarmente popolare la teoria dell’« esportazione della crisi » e dell’« esportazione della disoccupazione ». Si supponeva che la crisi e la disoccupazione potessero venire esportati negli altri paesi come qualsiasi altra merce.
Questa teoria, generata dall’egoismo estremamente ignorante della proprietà privata, non ha retto alla prova. La crisi e la disoccupazione si sono dimostrate merci d’esportazione» assai perfide: esportandole non solo non diminuiscono negli Stati Uniti, ma, al contrario, crescono. Il « piano Marshall », sottoponendo i paesi dell’Europa Occidentale alla dipendenza servile di Wall-Street, ha trasmesso con un ritmo accelerato le gravi malattie dell’economia americana al di là dell’Oceano. Il «piano Marshall» ha portato ai monopoli americani grassi guadagni. Ma proprio con questo esso ha indubbiamente facilitato l’ulteriore rapido peggioramento della situazione economica degli Stati Uniti.
Il gonfiamento anormale delle esportazioni nel periodo post-bellico aveva avuto una funzione importantissima nella economia degli Stati Uniti. Il 1948 non solo non ha portato ad un aumento delle esportazioni dagli Stati Uniti, ma queste sono diminuite del 18 per cento per valore e del 28 per cento per volume rispetto al 1947. Quale obbiettivo del « piano Marshall », come è noto, era stato ufficialmente annunciata la « ricostruzione economica dell’Europa ». La realtà ha smascherato presto quest’inganno. Il completo fallimento delle promesse demagogiche di « risanamento dell’Europa » viene attestato, in particolare, dal rapporto sulla situazione economica mondiale nel 1948, pubblicato nel luglio 1949 dal segretariato dell’O.N.U.
Nel rapporto si ammette che nel 1948 la situazione economica del mondo capitalistico è peggiorata: « E’ evidente che la seconda metà del 1948 e il principio del 1949 rappresentano un punto di svolta nello sviluppo economico post-bellico. Per la prima volta, dopo la fine della guerra, è cominciata la caduta dei prezzi, l’arresto dell’espansione della produzione e l’aumento del numero dei disoccupati in una serie di paesi ».
Il carattere di questa svolta non lascia alcun dubbio: questa è la svolta verso la crisi ciclica economica di sovraproduzione, che si sviluppa nelle condizioni di una spaventosa miseria delle masse della popolazione dei paesi borghesi.
L'interesse dell’opera è costituito dal suo valore documentario in quanto non parte da illusioni ideologiche, ma da fatti concreti, dai documenti.
Ogni cittadino, ogni lavoratore, che voglia capire le cause profonde degli attuali rapporti internazionali esasperati e dei pericoli che questi rappresentano per la pace, la libertà e l’indipendenza dei popoli, deve leggere questo libro.
Alcuni estratti:
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L'indirizzo di politica estera seguito dai circoli dirigenti degli Stati Uniti d’America dopo la fine della seconda guerra mondiale è un indirizzo d’incontenibile espansione imperialistica. Esso si presenta come un piano avventuristico di forzata instaurazione del predominio mondiale anglo-americano sotto la protezione degli Stati Uniti d’America. Tale indirizzo trova la propria incarnazione nella cosidetta « dottrina di Truman » e nel « piano Marshall », nel patto dell’Atlantico Settentrionale e nell'imbastitura d'ogni specie di blocchi militari aggressivi, nella corsa agli armamenti, nella creazione di basi strategiche, nella accumulazione di bombe atomiche. La politica dei circoli dirigenti degli Stati Uniti d’America e dell'Inghilterra è il fatto fondamentale dell'avvelenamento della attuale atmosfera mondiale, poiché è una politica di aggressione e di provocazione di una nuova guerra mondiale.
A milioni di «uomini semplici» di entrambe le rive dell’Atlantico viene in cento modi ispirato il pensiero che nel tempo in cui tutti gli altri grandi Stati crescevano col ferro e col fuoco, gli Stati Uniti d’America sarebbero arrivati allo stato attuale esclusivamente per via pacifica; come se gli Stati Uniti d’America non avessero mai fatto alcuna conquista. Se essi qualche volta si sono intromessi nelle questioni degli altri popoli, affermano i lacchè dell'imperialismo americano, l’avrebbero fatto in maniera disinteressata, esclusivamente nell’interesse dei popoli, in nome dell’umanità in difesa della civiltà, nell’interesse della pace. Parrebbe che un tale idillio avesse accompagnato la politica estera americana dal suo sorgere fino ai giorni nostri. Questa leggenda viene diffusa dai difensori dell'espansionismo americano. Essa viene sostenuta nei paesi capitalistici da tutto l’apparato ufficiale della propaganda, dai monopoli della stampa reazionaria, dalla scuola, dai manuali di storia americana e così via.
Nel 1870 venne fondato il trust petrolifero di Rockefeller «Standard Oil». Da questa data ha inizio la storia dei monopoli americani. Ricchezze gigantesche vennero concentrate in poche mani. Lo sviluppo dei monopoli e l’incessante accrescimento della loro influenza sul corso della nave statale, ha mutato sostanzialmente il carattere stesso della espansione americana. La forza motrice dell’espansione è data dagli interessi del profitto dei potenti monopoli industriali, bancari e commerciali. Gli interessi del profitto monopolistico non conoscono frontiere, essi si espandono per tutto il mondo.
Nell’epoca del dominio dei monopoli la politica estera degli Stati Uniti è guidata interamente ed esclusivamente dagli interessi del capitale finanziario, dagli interessi di quel pugno di sfacciati miliardari che affogano nel fango e nel lusso dei quali scriveva Lenin. Il gruppo di miliardari che guida i destini della repubblica transoceanica diventa padrone assoluto dell’apparato statale e guida tutta la politica interna ed estera del governo.
Con la proclamazione «della dottrina di Truman» e dopo, con la sua naturale continuazione « il piano Marshall », il dominio dei grandi affaristi nel governo americano ha assunto un carattere aperto e illimitato. Acheson dichiarò che i prestiti alla Grecia e alla Turchia dovevano sostanzialmente essere considerati dei doni che non sarebbero più stati restituiti. In seguito lo stesso principio dei « doni » venne adottato su scala molto più larga nel « piano Marshall ». In realtà si tratta di doni fatti a spese dei contribuenti ai monopoli, per i quali la « dottrina di Truman » e il « piano Marshall » sono chiamati a spianare il campo per lo sfruttamento.
La « dottrina di Truman » è legata alla politica di appoggio ai regimi e alle forze reazionarie in tutto il mondo. L’attuale politica americana, che trova la propria incarnazione nella « dottrina di Truman » e nel « piano Marshall », punta sulla rinascita dell’imperialismo tedesco. La « dottrina di Truman », similmente alla teoria fascista tedesca dello « spazio vitale », esprime le tendenze aggressive del capitale monopolistico.
La pazzesca idea della superiorità razziale della razza anglosassone, da un lato, e la propaganda del cosmopolitismo, dall’altro, rappresentano lo strumento ideologico velenoso dell’imperialismo americano. Il razzismo anglo-sassone ed il cosmopolitismo sono due facce della medesima medaglia, due forme di manifestazione dell'ideologia imperialistica, al servizio dei piani anglo-americani di dominio mondiale.
L’imperialismo del dollaro ha una ricca esperienza nell’attizzare il fanatismo razziale. Le classi dominanti degli Stati Uniti si sono arricchite con lo sfruttamento inumano dei negri, i quali, per parecchi secoli, furono portati dall’Africa dai mercanti inglesi e sfruttati dai piantatori del Sud come schiavi. La ideuccia della superiorità razziale della razza «bianca» e prima di tutti degli anglo-sassoni, ha avuto una ben determinata funzione utilitaria. Essa doveva dare una qualche apparenza di giustificazione del regime sociale sanguinario ed inumano basato sulla schiavitù della laboriosa popolazione negra.
Se il razzismo anglo-sassone serve prevalentemente per l’interno, il cosmopolitismo, al contrario, serve sopratutto per l’esportazione. Esso viene esportato in Europa e si introduce fra i popoli come la gomma da masticare e i salsicciotti di maiale in scatola assegnati con il « piano Marshall ».
L’attuale cosmopolitismo ha il compito di nascondere gli appetiti briganteschi dell’imperialismo anglo-americano con ragionamenti ingannevoli secondo i quali l’idea della sovranità nazionale sarebbe «antiquata» e che bisogna metterla nell’archivio, poiché sarebbe nell’interesse di tutti i popoli del mondo riconoscere quanto prima volontariamente la supremazia anglo-americana, dato che lo sviluppo storico sta dalla parte della creazione degli «Stati Uniti del mondo» e del «governo mondiale».
Il cosmopolitismo ha per base i legami mondiali del capitale che mantiene i popoli in schiavitù e nell'oppressione. L’attuale cosmopolitismo esprime la tendenza propria dell’imperialismo all’egemonia mondiale, alla lotta violenta degli imperialisti per il dominio mondiale. Il cosmopolitismo ed il nazionalismo borghese si manifestano come due facce di un medesimo idolo. Questo idolo è il vitello d’oro, la cui religione ignora non soltanto le frontiere nazionali, ma anche gli interessi nazionali. Questa religione è legata con la corrotta morale dei briganti, incarnata nei comandamenti borghesi: «il denaro non ha odore»; «dove si sta bene è la patria».
Il legame indissolubile fra lo sciovinismo ed il cosmopolitismo si mostra con particolare evidenza nella azione dei socialisti di destra, i quali strisciano sul ventre davanti all’imperialismo americano e nel medesimo tempo conducono e difendono la politica della più selvaggia oppressione degli altri paesi e degli altri popoli.
Uno dei calcoli perfidi degli imperialisti americani con la proclamazione del « piano Marshall » consisteva nel tentativo di staccare i paesi di democrazia popolare dall’Unione Sovietica. Questo era un calcolo volgare, degno della brigantesca democrazia del dollaro: tentare con l’esca dei dollari di fare ritornare nel campo dell’imperialismo i paesi dell’Europa Centrale e Sud Orientale, che avevano rotto con questo campo e si erano messi sulla via della costruzione del socialismo. Si può considerare che questo calcolo fallì fin dall’inizio. Il tradimento della cricca di Tito in Jugoslavia rallegrò gli imperialisti, ma lo sviluppo economico ed il consolidamento dei regimi di democrazia popolare in Polonia, Cecoslovacchia, Bulgaria, Romenia, Albania rappresenta un duro colpo per il campo dell’imperialismo. Questo è stato il primo, ma certamente non l’ultimo, fallimento del « piano Marshall ».
Come il « piano Marshall », il Patto Atlantico è stato fin dall’inizio concepito come strumento diretto innanzi tutto contro l’Unione Sovietica ed i paesi di democrazia poolare. L’Unione Sovietica che guida il campo della democrazia e del socialismo, rappresenta l’ostacolo insuperabile per la realizzazione dei piani imperialistici d’instaurazione del dominio mondiale. Di qui deriva il furioso rancore degli imperialisti contro l’Unione Sovietica. Il rifiuto del febbraio 1949 del presidente Truman di sottoscrivere un trattato di pace con l’Unione Sovietica ha dimostrato ancora una volta a tutto il mondo che i circoli dirigenti di Washington ed i loro sostenitori dell’Europa Occidentale scartano sistematicamente ogni politica diretta a regolare i rapporti con l’Unione Sovietica, poiché essi non desiderano la pacifica collaborazione con essa. Il 4 aprile 1949 ebbe luogo a Washington la cerimonia ufficiale della firma del Patto Atlantico da parte dei ministri degli esteri dei paesi dell’Europa Occidentale, appositamente convocati.
Malgrado i calcoli dei monopolisti americani e dei loro servi nè il « piano Marshall » di aggressione, nè la sfrenata corsa agli armamenti potevano salvare, ed effettivamente non hanno salvato, i paesi capitalistici, e prima di tutti gli Stati Uniti, dallo sviluppo della crisi economica.
L’indice più evidente della debolezza interna del campo imperialistico è rappresentato dal completo fallimento del « piano Marshall », che era stato propagandato dai monopolisti americani e dai loro servi in tutto il mondo con l’insegna menzognera di « piano per il risanamento dell’Europa ». E’ fallito completamente il calcolo politico degli imperialisti secondo il quale il «piano Marshall» avrebbe dovuto « arrestare lo sviluppo del comunismo », e cioè portare ad un indebolimento della lotta di classe nei paesi marshallizzati. Infine, la vita ha rovesciato i calcoli economici degl’imperialisti anglo-americani secondo i quali il « piano Marshall » avrebbe dovuto procurare loro una sufficiente quantità di mercati per lo sbocco delle merci, di sfere per l’investimento di capitali e di campi per lo sfruttamento capitalistico, necessari per assicurare i grassi superprofitti dei monopoli.
Il « piano Marshall» era stato fin dall’inizio concepito come uno strumento per realizzare i disegni pazzeschi di dominio mondiale del capitale finanziario americano, tracciando una politica che avrebbe dovuto innanzi tutto assicurare la risoluzione delle contraddizioni interne del capitalismo americano a spese dei paesi marshallizzati. Gli autori del « piano Marshall » si rivolgevano al pubblico americano e assicuravano in maniera particolare che essi erano convinti che il piano avrebbe assicurato agli Stati Uniti mercati per le merci e sfere di influenza per l’investimento-dei capitali. Fra gli scienziati, servi di Wall-Street, era diventata particolarmente popolare la teoria dell’« esportazione della crisi » e dell’« esportazione della disoccupazione ». Si supponeva che la crisi e la disoccupazione potessero venire esportati negli altri paesi come qualsiasi altra merce.
Questa teoria, generata dall’egoismo estremamente ignorante della proprietà privata, non ha retto alla prova. La crisi e la disoccupazione si sono dimostrate merci d’esportazione» assai perfide: esportandole non solo non diminuiscono negli Stati Uniti, ma, al contrario, crescono. Il « piano Marshall », sottoponendo i paesi dell’Europa Occidentale alla dipendenza servile di Wall-Street, ha trasmesso con un ritmo accelerato le gravi malattie dell’economia americana al di là dell’Oceano. Il «piano Marshall» ha portato ai monopoli americani grassi guadagni. Ma proprio con questo esso ha indubbiamente facilitato l’ulteriore rapido peggioramento della situazione economica degli Stati Uniti.
Il gonfiamento anormale delle esportazioni nel periodo post-bellico aveva avuto una funzione importantissima nella economia degli Stati Uniti. Il 1948 non solo non ha portato ad un aumento delle esportazioni dagli Stati Uniti, ma queste sono diminuite del 18 per cento per valore e del 28 per cento per volume rispetto al 1947. Quale obbiettivo del « piano Marshall », come è noto, era stato ufficialmente annunciata la « ricostruzione economica dell’Europa ». La realtà ha smascherato presto quest’inganno. Il completo fallimento delle promesse demagogiche di « risanamento dell’Europa » viene attestato, in particolare, dal rapporto sulla situazione economica mondiale nel 1948, pubblicato nel luglio 1949 dal segretariato dell’O.N.U.
Nel rapporto si ammette che nel 1948 la situazione economica del mondo capitalistico è peggiorata: « E’ evidente che la seconda metà del 1948 e il principio del 1949 rappresentano un punto di svolta nello sviluppo economico post-bellico. Per la prima volta, dopo la fine della guerra, è cominciata la caduta dei prezzi, l’arresto dell’espansione della produzione e l’aumento del numero dei disoccupati in una serie di paesi ».
Il carattere di questa svolta non lascia alcun dubbio: questa è la svolta verso la crisi ciclica economica di sovraproduzione, che si sviluppa nelle condizioni di una spaventosa miseria delle masse della popolazione dei paesi borghesi.
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