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Ebook: Teoria dell'individuo. Stirner e il pensiero selvaggio

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27.01.2024
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Un pensiero selvaggio, ecco ciò di cui abbiamo bisogno. Quello di Stirner è un contributo in questa direzione. Come tutti i contributi è soltanto un tentativo, non solo non arriva a conclusioni (e perché dovrebbe?) ma si costruisce da sé gli anticorpi per evitare di Un pensiero selvaggio, ecco ciò di cui abbiamo bisogno. Quello di Stirner è un contributo in questa direzione. Come tutti i contributi è soltanto un tentativo, non solo non arriva a conclusioni (e perché dovrebbe?) ma si costruisce da sé gli anticorpi per evitare di arrivarvi. E questo è il massimo segno dell'attitudine selvaggia.
Come trovarci nel mezzo della bufera? Ecco la domanda cruciale. Per quanti sforzi facciamo siamo sempre in avvicinamento, ci approssimiamo. Il salto vero e proprio è troppo traumatico per parlarne. Siamo fiduciosi che la verità di cui siamo fermamente convinti ci farà luce durante il cammino. Le illusioni tardano a morire.
La fede nella verità equivale a quella nel liberatore, nel portatore di libertà. Più la condizione presente appare corrusca e più siamo portati a trasferire le nostre speranze nelle mani di chi saprà operare miracoli. Il liberatore ha dalla sua la verità, perché verità e libertà sono la stessa cosa. Ogni liberatore ci appare come la verga che si alza sulle moltitudini inquiete, un dono del cielo, la gemma che splende nella notte. Ogni liberatore parla dei motivi che lo spingono a sacrificarsi per noi.
E, difatti, egli è l'uomo del sacrificio, cioè del "fare sacro", facendo in modo sacro è l'uomo del sacro egli stesso, e tutto quello che tocca (o pensa) diventa sacro, anche noi, appartenendogli col desiderio di immedesimazione che ci unisce e ci eguaglia, siamo un "suo fatto", un prodotto sacro del suo fare, anche noi siamo "sacri". L'inferno scatenato dalle inquietudini feroci che ci aveva stretto il cuore in una tenaglia infuocata, quell'inferno delle nostre notti di panico, adesso non ha armi contro di noi. La parola del liberatore inveratasi nel suo sacrificio regna sul nostro capo di liberti e ci aureola l'anima.
Dovremmo oltrepassare la soglia del sacro. Ma questo corrisponde all'assassinio, il gesto irrimediabile che ci trasforma calandoci nella realtà effettiva, togliendoci la benda sacra sulla fronte. Il gesto definitivo trionfa entrando da vincitore in quello che custodiamo di più pregiato e insostituibile nella nostra coscienza. Abbiamo abbellito apposta il nostro luogo delle riservatezze, abbiamo apposta alzato i miracoli del nostro modesto annuire portandoli al massimo delle loro capacità e, alla fine, le vecchie acquiescenze si sono evolute in balbettii che cercano di dire osanna, perfino riuscendoci. Non ci sono selvaggi che non sono, nello stesso tempo, assassini di ciò su cui trionfano gettandolo nel caos. Fosse pure il dominio su se stessi. Pur essendo quest'ultimo aspetto un caso particolare, ricorre sempre alla medesima regola, a morire è la rigidità voluta, la asfissia imposta con la forza (della volontà). Niente può cambiare in meglio un luogo comune. L'assassino non è l'uccisiore dell'altro, o di se stesso, ma il negatore delle regole (e di se stesso come pegno della regola). I calcoli atroci, le spaventose ipocrisie che sorreggono il mondo scompaiono insieme alle inquietudini esorcizzate dalla parola sacrificale, col gesto dissacratore che ingigantisce la forza della liberazione facendola diventare globale. Il sogno può veramente governare il mondo.
È l'avvento della legge intelligente, quella che si propone abbandonandosi, quindi rifiutando ogni genere di meccanismo, ogni periodicità che regola successioni o priorità. Essa assume così la forma del caso. Questo ha di certo una sua causa, ma non c'è modo di racchiuderla in una corrispondenza ricorrente. Nel caso c'è però qualcosa di più. C'è giustizia distributiva e saggezza. L'uomo non è amico del caso e quando gli si accosta lo fa con mille cautele, pretendendo ogni sorta di garanzia riparatrice. Vuole che le regole vengano rispettate. Non tutte, certamente, essendoci uomini dabbene che non amano l'oppressione e il controllo soffocante, ma alcune sì: che resterebbe loro in mano nell'eventualità di un completo azzeramento? La coerenza, per esempio, che mondo sarebbe quello in cui la coerenza venisse denudata per quello che è: autodisciplina rispettabile e degna di ogni considerazione, ma sempre disciplina? Bisognerebbe prendere una risoluzione: o rivalutare la disciplina (qualunque disciplina), o approfondire l'autonomia. Vedete bene quali prospettive pericolose si aprono. Se il caso nega la coerenza, affermando il valore primario di quest'ultima ci diciamo subito nemici del caso.
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